Storia e curiosità di Venosa
Storia e curiosità di Venosa
Diverse le ipotesi sull’etimologia di Venusia. Alcuni ritengono che la città sia stata fondata in onore della dea dell’amore, Venere (in latino Venus). Per altri, l’origine del nome è nell’abbondanza e bontà dei suoi vini (vinosa), oppure nelle vene d’acqua di cui è ricca o, ancora, nel clima ventilato (ventosa).
Le tracce rinvenute assieme a resti di una necropoli neolitica certificano la presenza umana nel territorio di Venosa sin dai tempi della preistoria.
La cittadina, probabilmente fondata dalle popolazioni latine, fu strappata dai Romani ai Sanniti nel 291 a.C. Nel 190 a.C. la fondazione della Via Appia è occasione di forte sviluppo del centro, data la sua collocazione privilegiata nel collegamento tra Roma a Brindisi.
Nel 65 a.C., nel municipio nacque e visse la propria adolescenza Quinto Orazio Flacco, uno dei più illustri poeti dell’epoca antica, emigrato, in seguito, a Roma.
Con l’età imperiale, nei primi periodi dell’avvento del Cristianesimo (intorno al 70 d.C.), si insediò a Venosa una delle prime comunità ebraiche in Italia, che riuscì a integrarsi con la popolazione locale.
Con la caduta dell’Impero romano e il conseguente avvento dell’era medievale, Venosa fu soggetta a ripetute occupazioni da parte di popolazioni barbariche dal V secolo.
Nell’842 la città fu saccheggiata dai Saraceni, i quali, a loro volta, furono cacciati da Ludovico II, sovrano dell’Impero carolingio.
Con la venuta degli Svevi, Federico II fece costruire un castello, eretto in un luogo ove esisteva un fortilizio longobardo dell’XI secolo, a cui assegnerà la funzione di Tesoro del Regno (Ministero delle Finanze).
Dal 1200, il castello divenne il convento dei frati agostiniani, passato poi ai Salesiani e infine ai Padri Trinitari, che ancora oggi albergano nell’edificio.
Nel Rinascimento fu conquistata dagli Angioini, poi dagli Aragonesi e in seguito agli Spagnoli, sotto i quali Venosa venne infeudata alla famiglia Gesualdo, che ottennero, nel 1561, il titolo di principi di Venosa, rendendo la città un importante centro di attività culturali, intellettuali e artistiche.
Successivamente il feudo di Venosa fu affidato a varie famiglie nobili. Nel 1808, Venosa divenne la terza città con più possedimenti della Basilicata, dopo Melfi e Matera, oltre ad avere diritto attivo e passivo nel Parlamento Nazionale napoleonico.
Con l’unità d’Italia, nel 1861 fu conquistata dai briganti del rionerese Carmine Crocco, i quali, dopo aver sconfitto la guarnigione della Guardia Nazionale venosina, furono accolti e appoggiati dalla popolazione locale.
Nel 1944, nell’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale, fu costruita una pista di volo Fu l’unico aeroporto costruito in Basilicata nel periodo bellico.
Tanti i miti e le leggende legate a Venosa
La mitica fondazione della città oraziana.
La leggenda della prima fondazione di Venosa risale all’arrivo del mitico eroe greco Diomede, il figlio protetto della dea Atena, in viaggio dopo la caduta di Troia ad Argo dove era Re. Il veloce ritorno era però opera di Afrodite, ansiosa di vendicarsi dell’offesa ricevuta durante la guerra. Al suo ritorno ad Argo infatti né sua moglie Egialea né i suoi sudditi lo riconobbero più: Afrodite aveva cancellato il ricordo del eroe-re dalla loro memoria. Ancora una volta il destino condusse pertanto l’eroe ad abbandonare la sua città e ad avventurarsi questa volta per l’Italia, con l’intento forse di ottenere il perdono della dea nata dalla spuma del mare (Afrodite). Imbarcatosi, Diomede si fermò nei porti dell’Adriatico e insegnò alle popolazioni locali a navigare (arte sotto la protezione di Afrodite) e ad addomesticare i cavalli. Da campione della guerra Diomede divenne così l’eroe del mare e della diffusione della civiltà greca o meglio “l’eroe della civilizzazione”, come in seguito verrà definito, per aver a lungo navigato e per aver fondato diverse città della costa adriatica e della Daunia, tra cui Venusia in onore della Dea. Proprio per Venusia ottiene il desiderato perdono. Dopo il lungo viaggio l’eroe decise però di non tornare più in patria ma di stabilirsi in Italia meridionale, sposando la principessa Evippe (figlia del re Dauno, signore dell’antico popolo indigeno dei Dauni). Una spiaggia delle Isole Tremiti divenne il luogo di sepoltura dell’eroe greco e, sempre secondo la leggenda, i suoi compagni vennero trasformati da Afrodite in grandi uccelli marini: le “diomedee”, allo scopo di bagnare per sempre la tomba del grande eroe Diomede.
Il rito segreto della fertilità.
La chiesa della Santissima Trinità della città oraziana custodisce un segreto: è molto antica, sorta in età paleocristiana su un tempio pagano che era dedicato a Imene, dea greca nata da Apollo e Afrodite. Nella mitologia è alla testa di ogni corteo nuziale ed è protettrice per l’appunto del matrimonio. All’entrata troviamo due leoni a protezione della porta. Accanto alla chiesa vecchia, si trova una colonna romana sulla quale vi è un antico rituale, che è possibile trovare anche in altre parti d’Italia: si dice che lo sfregamento da parte delle donne sulla colonna porterebbe fertilità.
Gesualdo da Venosa, la parabola del musicista assassino
Carlo Gesualdo è stato uno dei più grandi madrigalisti e compositori di musica sacra del tardo rinascimento. Era chiamato “il principe dei musici” per la qualità delle sue note. Ma su di lui gravano anche le ombre di terribili misfatti.
Carlo Gesualdo nacque a Venosa l’8 marzo del 1566 da Fabrizio II, mecenate legato al mondo dei Gesuiti, e Geronima Borromeo. Sua madre era la sorella di Carlo Borromeo, anima della Controriforma cattolica e futuro San Carlo. In questo ambiente il musicista fu abituato fin dall’infanzia al rigore negli studi e nei comportamenti. La dolcezza dei territori venusini, però, gli concedevano la possibilità di spaziare con la fantasia.
Il 28 maggio del 1586, trasferitosi a Napoli, Gesualdo sposò Maria d’Avalos, una sua cugina. L’anno precedente, aveva pubblicato il suo primo mottetto, ma non gli fu concesso di dedicarsi completamente alla carriera musicale. La sua attività di compositore, quindi, continuava nell’ombra.
Nel 1588, dal suo matrimonio nacque Emanuele e, in quegli anni, l’amicizia con Torquato Tasso, a cui musicò diversi testi, si fece molto stretta. Poi, d’improvviso, tutto cambiò.
Sua moglie conobbe Fabrizio Carafa, duca d’Andria e conte di Ruvo. Ne nacque una relazione intensa e appassionata. I due non temevano di mostrarsi insieme, neppure a casa dello stesso Gesualdo. I pettegolezzi erano sulla bocca di tutti.
Quanto a lungo sia stata meditata la vendetta nessuno può dirlo. Quel che è certo, è che il 16 ottobre 1560, Gesualdo partì per una consueta battuta di caccia e Maria non s’insospettì quando il marito portò con sé i domestici. Ma era una trappola. Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre i due amanti furono trucidati. Nonostante le leggi dell’epoca giustificassero un simile omicidio, Gesualdo lasciò Napoli temendo ritorsioni da parte delle famiglie degli uccisi. Riparò nella sua fortezza a Gesualdo, nei pressi di Avellino.
Nel 1594 sposò Eleonora d’Este, cugina del duca di Ferrara Alfonso II. Da questo momento, in poi, la sua carriera di compositore si fece prolifica. Tra il 1594 e il 1611, infatti, scrisse 6 libri di madrigali a 5 voci. Poi, nell’estate del 1614 lo colse la notizia della morte del figlio Emanuele e, dopo poche settimane, morì.
La sua storia e la sua musica hanno ispirato artisti di ogni epoca fino a Franco Battiato.