Storia e curiosità di Montalbano Jonico

Storia e curiosità di Montalbano Jonico

Il nome originale, Mons Albanus, deriva probabilmente dal gentilizio Albius, diffuso nell’Italia meridionale in Età repubblicana, epoca in cui vennero assegnati lotti di ager publicus ai veterani di guerra.

Altra ipotesi è quella che deriva dalle parole latine mons (monte) e albius (chiaro), dalle argille che compongono il territorio su cui è posizionata la cittadina. Infine non è da escludere la possibile origine dall’arabo Al bana, vale a dire “luogo eccellente“.

Le origini storiche di Montalbano sono molto incerte, forse risalenti al IV secolo a.C. I reperti archeologici rinvenuti nel suo abitato sono di età ellenistica.

Probabilmente fu, come Pandosia, alleata di Roma nella battaglia di Heraclea. In età romana beneficiò dei percorsi della transumanza che ancora oggi l’attraversano.

Nel suo territorio è importante la fattoria ellenistica di Andriace risalente al III secolo a.C. probabilmente parte di un piccolo abitato agricolo, con tipologia di casa a corte, dotata di ambienti per l’abitazione delle famiglie dei coltivatori e spazi adibiti alla lavorazione dei prodotti. Oggi rappresenta la testimonianza rara di una struttura rurale, anticipatrice delle più sofisticate forme della villa romana, di quel periodo

In contrada Ucio, sulla destra del Cavone (antico Akalàndros) furono rinvenute le famosissime Tavole di Heraclea, tavole bronzee incise sia in greco che in latino sul retro,  conservate presso il Museo Archeologico di Policoro.

Dal Medioevo in poi Montalbano fu feudo appartenuto a seguire ai Sanseverino, ai Villamari, ai Toledo e agli Alvarez.

Rilevante è il tracciato della cinta muraria esterna di età aragonese e poi ristrutturata, nella veste attuale, dopo il saccheggio dei predoni ottomani del 1555.

Dal 1799 la cittadina fu molto attiva nel movimento antiborbonico. A quei tempi anche la Basilicata fu scossa da un vento di cambiamento e libertà. Una nuova energia invadeva le strade dei paesi arrivando fin dentro le case della gente. Rachele Cassano, una donna di appena 19 anni, seguiva ogni vicenda in prima linea e con estrema partecipazione. Da vera patriota, trasformò la sua abitazione in un luogo di discussione e di patriottismo. Quanti tramavano allo scopo di seguire l’esempio napoletano, trovarono un posto sicuro e aperto al confronto nella sua casa. Il 2 febbraio 1799, Rachele prese disposizioni perché entro il primo pomeriggio il progetto rivoluzionario avesse luogo. Intorno all’ora di pranzo, gruppi di persone, la cui animosità era evidente fin dalle prime ore del mattino, si riunirono in un corteo. Al grido di “Viva la libertà, viva la Repubblica” fu issato, in piazza Rondinelli, l’albero della libertà con il caratteristico berretto frigio sulla cima.  I Borboni si consideravano decaduti. Poi la folla si riunì in chiesa. E fu Rachele a parlare, insieme a Luigi Lomonaco, anch’egli nativo di Montalbano. Alcuni mesi dopo, la donna riuscì a scampare alla forca per miracolo. Si racconta che all’atto della cattura il generale Ruffo, al comando delle truppe borboniche, fu conquistato dalla sua bellezza al punto di risparmiarle la vita. Invece Francesco Lomonaco continuò la sua attività culturale e filosofica diventando poi docente di Storia e Geografia nell’Università di Pavia, dove si trasferì. Negli anni successivi però fu inviso al regime napoleonico e a gran parte dell’ambiente culturale milanese, per questo motivo decise di togliersi  la vita il 1° Settembre del 1810, gettandosi nel Ticino.

Nel 1863 al nome Montalbano fu aggiunto l’appellativo Jonico, a indicare il mare su cui il territorio comunale si affacciava.

A partire dal 1932, e fino ai primi anni ’60 del XX secolo, Montalbano fu una delle stazioni delle Ferrovie Calabro Lucane. Nel 1959 prima e nel 1974 poi, il territorio, prima molto esteso, si ridimensionò notevolmente, in seguito all’acquisizione dell’autonomia da parte delle due frazioni di Policoro e Scanzano Jonico.

Su Montalbano circolano alcune leggende come quelle del Palazzo del Cavaliere considerato come  una delle cause delle frane che portarono via il castello. L’edificio sorge sul ciglio del burrone di argilla su cui il paese si affaccia, a breve distanza dal luogo dove era il castello e dirimpetto all’ “Osannale”, piazzetta dove ancora oggi avviene la benedizione delle palme la domenica prima di Pasqua, ma che doveva essere un torrione della seconda cinta muraria. Orbene, la leggenda vuole che di notte, nell’ampio cortile interno del palazzo, compaia la terribile figura di un cavaliere senza testa, e lo scalpitio degli zoccoli del suo destriero pare abbia terrorizzato per generazioni i sonni degli abitanti. I più coraggiosi di loro raccontavano di essersi affacciati, di notte, nel cortile, e di averlo visto, il fantomatico milite, aggirarsi tetro su di un destriero ora bianco, ora nero. L’avevano sicuramente sognato, o la suggestione della notte aveva causato loro l’agghiacciante visione, dato che lo scalpitio era dovuto alle gocce che, condensatesi, cadevano nella cisterna sottostante il palazzo, rimbombando nel silenzio notturno, fino a sembrare gli zoccoli d’un cavallo. Nulla vieta di pensare che gli scoli di queste cisterne andassero a finire proprio vicino alla “tempa del diavolo”, erodendola poco a poco negli anni, fino a causar la rovina del castello, andato a finire andato a finire inesorabilmente giù, nei calanchi.

 Un’altra leggenda detta  u Casiddon narra di storia di brigantaggio e patriottismo, di fughe lungo passaggi sotterranei ancora in parte esistenti all’interno dell’area della Riserva Regionale dei Calanchi dove i bambini si ritrovavano per giocare ” ‘mbrucnands” (rotolandosi) tra le argille dei calanchi.

Questi  luoghi sono ispiratori di scene incentrate sulla vita contadina. Gli usi, le tradizioni ed i costumi locali che rischiano di essere dimenticate.