Storia e curiosità di Castelsaraceno
Storia e curiosità di Castelsaraceno
Il nome deriva da “Castrum” (dal latino accampamento, fortezza, castello) saraceno.
Il rilevamento di ceramiche ad impasto nelle grotte del Monte Raparo attestano che il territorio di Castelsaraceno sarebbe stato abitato fin dall’epoca preistorica. Nell’età del bronzo una via della transumanza collegava l’Agri e il Sinni, il Mar Tirreno e il Mar Ionio, battendo il sentiero di un’antichissima via commerciale, la via Erculea, che da Grumento, risaliva proprio in direzione del territorio di Castelsaraceno. Anche i Greci utilizzavano i tratturi della transumanza per risalire fino alla media Valle dell’Agri per sfuggire alla pirateria e per creare un legame infrastrutturale tra Mar Tirreno e Mar Ionio.
L’origine del borgo potrebbe collocarsi tra il IX e il X secolo, quando l’esercito mercenario saraceno avrebbe eretto una costruzione strategico-difensiva di vedetta sulla valle del Racanello, un castrum, abbrancandosi in quello che sarebbe diventato l’attuale agglomerato urbano.
Dopo essere stato abbandonato dai Normanni, Castelsaraceno passò sotto il dominio dei Mango di San Chirico, che lo donarono nel 1086 agli Abati dell’Abbazia di San Michele Arcangelo. Nel XV secolo passò ai Carafa, subendo angherie e soprusi.
L’espansione del borgo risalirebbe al 1542, allo stile rinascimentale e alla famiglia dei Sanseverino, che avrebbe commissionato la costruzione della chiesa Madre dedicata allo Spirito Santo e del palazzo baronale, la cui facciata domina lo spazio circolare della piazza Piano della Corte.
Castelsaraceno seguì poi le sorti di numerosi feudi finendo ai baroni Picinni Leopardi, signori del luogo.
Fu interessato dopo l’unità d’Italia dai fenomeni del brigantaggio, poiché i monti offrivano un riparo sicuro e inaccessibili.
Tra leggende legate al comprensorio del Pollino e rituali contadini c’era la festa della mietitura. Avveniva in genere nel mese di agosto, quando giungeva a maturazione il grano nei paesi di montagna, come Castelsaraceno. Non aveva una data precisa, perché era legata al ciclo naturale della cerealicoltura. L’ultima volta in cui fu onorata, è stato certamente nell’estate del 1939. Ecco come avveniva: i granicoltori designati per la raccolta della Gregna si recavano nei campi, sceglievano liberamente i covoni da presentare, in genere i migliori, quelli più alti. Prendevano le spighe, ne sfilavano la paglia con le mani, in modo che restasse solo l’astuccio. poi accompagnavano i covoni in processione fino al posto predetto. A capo del corteo stavano degli zampognari, cui seguivano le ragazze con le cente (covoni) in testa e poi il resto dei partecipanti, i quali cantavano e recitavano formule propiziatorie. I covoni venivano decorati con fiori e ghirlande e posto al centro della piazza, poi iniziava il gioco mimico della mietitura: dei falciatori si avvicinavano e tagliavano scenicamente il grano. Gli anziani dicono che con le punte delle falci venivano sbalzati cappelli e spuntate camicie. In seguito gareggiavano per gioco a chi falciava di più dei piccoli covoni (fissati a terra sul ciottolato con dei sassi), che poi buttavano in aria sempre con le estremità della falcatura. Il rito in genere terminava con un convivio in cui si beveva vino e si ballava. Alla fine portavano il covone nella Cappella di Sant’Antonio e lo offrivano in voto: infatti il grano prodotto da quello lo donavano alla Chiesa.
Castelsaraceno è oggi un florilegio di cultura, di storia e di arte sottintesi, custoditi gelosamente nei luoghi, nei suoi boschi e dei suoi vicoli, in cui l’ospite è sacro!